Primavera di risvegli, di libri letti in volo, condivisi sul divano in compagnia di chi amo o divorati al sole tiepido del mio giardino.

Tra marzo e aprile i libri conclusi sono 14: 6 romanzi, 5 saggi, 2 fumetti e 1 memoir.

Quale di questi aggiungerete alle vostre liste? Continuate a leggere per scoprirlo.

Il peso dei segreti

di Aki Shimazaki

5 romanzi in 1 attraverso la storia moderna giapponese

Per tutta la vita Yukiko ha convissuto con un terribile segreto: la mattina del 9 agosto del 1945, prima che su Nagasaki fosse lanciata la bomba, ha ucciso il padre. In una lettera lasciata alla figlia dopo la morte confessa il crimine e rivela di avere un fratellastro. Ben presto si scoprirà che non è solo Yukiko a custodire segreti inconfessabili. I racconti personali si intrecciano con le vicende storiche: la Seconda guerra mondiale in Giappone, i conflitti con la Corea, il terremoto del 1923. Le generazioni si susseguono ed emerge un ritratto lucido di una società piena di contraddizioni e legata alle sue tradizioni. Sullo sfondo, la natura, presenza costante e discreta, delicata ed elegante.

Mi è piaciuto perché: la scrittura di Aki Shimazaki è una piacevolissima scoperta, scorrevole ma poetica, fortemente descrittiva ma raramente ridondante. La trama, piuttosto complessa, è intrecciata unendo i fili di cinque vicende personali e costellata di enormi drammi e piccole gioie; l’autrice utilizza come espediente narrativo i diversi punti di vista dei protagonisti, permettendo al lettore di comprendere molte sfaccettature della storia personale e giapponese.

L’educazione

di Tara Westover

Un memoir che sa spiazzare e far riflettere

Tara è nata in una famiglia disfunzionale di fede mormona delle montagne dell’Idaho. Lei e i suoi fratelli non sono stati registrati all’anagrafe, non sono mai andati a scuola, non sono mai stati visitati da un dottore; sono cresciuti senza libri, senza sapere cosa succede nel mondo o cosa sia il passato. Con la sua famiglia, Tara si preparava all’Apocalisse, accumulando lattine di pesche sciroppate e dormendo con uno zaino d’emergenza sempre a portata di mano. Il padre è un uomo pericoloso, affetto da disturbi psichici non diagnosticati, e di conseguenza mai curati; il fratello maggiore è violento con le sorelle; la madre crede nella sottomissione femminile prescritta. Poi Tara fa una scoperta: l’educazione, la possibilità di emanciparsi, di vivere una vita diversa, di diventare una persona diversa.

Mi è piaciuto perché: l’autrice, ora storica di successo, ci accompagna nel suo percorso di crescita, maturazione e redenzione a partire dalla violenza e dalle assurdità vissute nei suoi primi anni di vita, con un padre folle e una famiglia che definire fuori dal comune sarebbe eufemistico. Credo sia un’autobiografia potente e dolorosa, che ci ricorda di non dare mai per scontato che esista una sola “normalità” e che lo studio e la conoscenza sono strumenti fondamentali per vedere il mondo con obiettività e consapevolezza.

La casa di Adam. La miglior vita possibile

di Stefano Vietina

Una raccolta di esperienze toccanti dal mondo delle cure palliative pediatriche

La Casa di Adam è l’Hospice pediatrico di Padova aperto nel 2007, un luogo dove ai bambini malati e alle loro famiglie vengono garantiti diritti di cura e la miglior qualità della vita possibile. Questo librino è una raccolta di racconti, storie e riflessioni che ci porta nel mondo delle cure palliative pediatriche: un mondo reale, duro, talvolta controverso, certamente difficile, ma allo stesso tempo pieno di speranza e di possibilità, ricco di opportunità, di nuovi spunti di conoscenza e di confronto, di normalità. È rivolto a tutti, perché parla di esperienze vissute, di vita concreta, con la bellezza e i limiti che la realtà impone.

 

Mi è piaciuto perché: avvicina il lettore a un’eccellenza del territorio padovano che non tutti conoscono (io in primis non ne avevo mai sentito parlare, sono rimasta colpita dalla quarta di copertina e ho deciso di leggere il libro per approfondire). Lo spirito della narrazione è quasi giornalistico, con interviste ed esperienze raccontate in prima persona con onestà. Credo possa essere di ispirazione per tutti, per chi sta vivendo con una malattia inguaribile, per chi lavora nel settore e per chi, pur non essendone colpito direttamente, vuole comprendere ciò che lo circonda.

Alma

di Federica Manzon

Il romanzo vincitore del Premio Campiello 2024

Alma torna a Trieste, città da cui è fuggita tanti anni prima, per raccogliere l’imprevista eredità di suo padre. Un uomo senza radici che odiava il culto del passato, pieno di fascino ma sfuggente, che andava e veniva al di là del confine, senza che si potesse sapere che lavoro facesse all’ombra del maresciallo Tito. A Trieste Alma ritrova una mappa dimenticata della sua vita: la bella casa dove ha trascorso l’infanzia grazie ai nonni materni custodi della tradizione colta mitteleuropea, ma anche la casa sul Carso dove si sono trasferiti all’improvviso e dove è arrivato Vili, figlio di due intellettuali di Belgrado amici di suo padre. Adesso è proprio dalle mani di Vili, con cui da anni ha tagliato ogni rapporto, che Alma deve ricevere l’eredità del padre nella speranza di decifrare il passato e ripartire in direzione futuro.

 

Mi è piaciuto perché: mi ha permesso di tornare a Trieste, città che odio e che allo stesso tempo amo, e di passeggiare tra viali e piazze che trasudano storie tormentate, parlano lingue diverse, professano numerose religioni o nessuna, raccontano storie di separazione e di unione. Il confine, spina dorsale di questo libro, è un luogo dell’anima, che esiste e non esiste. Le vite di chi sta di qua e chi sta di là si mescolano, la guerra crea confini dove non ci sono, la pace anche. Al di là della vicenda della protagonista e della sua famiglia, l’aspetto che ho apprezzato di più di questo romanzo è il non detto, gli spunti di riflessione che il lettore si porta dentro durante e alla fine della lettura.

Piccole cose da nulla

di Claire Keegan

Una storia senza tempo capace di illuminare quei gesti che danno dignità a una vita intera

Sono giorni che Bill Furlong gira per fattorie e villaggi con il camion carico di legna, torba e carbone. Nessuno vuole restare al freddo la settimana di Natale. Sotto la neve che continua a scendere, tutto va come sempre in quel pezzo d’Irlanda. Poi, nel cortile silenzioso di un convento, Bill fa un incontro che smuove la sua anima e i suoi ricordi. Lasciar correre, girarsi dall’altra parte, sarebbe la scelta più semplice, di certo la più comoda. Ma forse, per Bill Furlong, è arrivato il momento di ascoltare il proprio cuore.

Mi è piaciuto perché: è un romanzo toccante, breve ma intenso. Mi ha permesso di scoprire la storia delle cosiddette Magdalene Laundries, le lavanderie dei conventi cattolici dove venivano rinchiuse e letteralmente fatte sparire le giovani ragazze madri per evitare che infangassero il buon nome della famiglia con un figlio fuori dal matrimonio. Il Governo irlandese chiese ufficialmente scusa per questa pratica nel 2013 e l’ultima di queste strutture venne chiusa solo nel 1996.

Sul qui e ora

di Dalai Lama

Un libriccino per avvicinarsi al pensiero buddhista

Il Dalai Lama spiega con parole semplici come vivere appieno il presente nel turbinio delle fati­che quotidiane. Sono molte le pratiche dell’insegna­mento buddhista che si concentrano sull’essere nel momento presente; se rimaniamo vincolati al passato, se siamo ansiosi per il futuro, se non sperimentiamo il vuoto che deriva dalla rinuncia all’attaccamento, se non comprendiamo fino in fondo l’interdipendenza di tutte le cose, non saremo mai nelle condizioni di vivere la vita nella sua pienezza e di trovare la pace e la felicità, qui e adesso.

Non mi è piaciuto perché: è strutturato come un’intervista tra il curatore del libro e il Dalai Lama e forse per questo risulta poco incisivo. Il tema del “qui e ora” non è approfondito a sufficienza e i concetti espressi sono superficiali per chi ha già una conoscenza basica del suo pensiero. Quindi, nonostante qualche massima interessante, non lo consiglierei.

Tutta sola al centro della Terra

di Zoe Thorogood

Un graphic novel autobiografico

La giovanissima autrice inglese parla di sé in questo fumetto autobiografico esplorando il tema della depressione con tendenze suicide che la accompagna fin dall’adolescenza. Con l’intento di raccontare sei mesi della propria vita di artista, Zoe esplora la propria condizione interiore, cercando di costruire percorsi per sé e argini interiori per i lettori.

Mi è piaciuto perché: è il racconto onesto di una persona che soffre di depressione e ne parla senza edulcorare le proprie sensazioni e i propri pensieri. Non spiega come guarire dalla depressione, non è un libro per sentirsi meglio; bensì, la spiegazione di come chi soffre spesso non abbia alcuna intenzione di riemergere da quell’oscurità che lo attanaglia. 

Quando muori resta a me

di zerocalcare

L’ultima fatica del fumettista italiano più amato del momento

Un viaggio con suo padre verso il paesino tra le Dolomiti da cui proviene la famiglia paterna sarebbe la scusa perfetta per capire meglio Genitore 2, ma zerocalcare e suo padre sono incapaci di parlarsi di cose significative. A rendere ancora più difficile la trasferta, la scoperta del protagonista che la loro famiglia in paese non è vista di buon occhio, anzi, da alcuni è proprio odiata. Le radici dell’odio risalgono a prima della Grande guerra e si intrecciano al mistero che circonda, da trentacinque anni, il giorno più misterioso ed emblematico della vita di Calcare, quello che lui fin da bambino ricorda come “Il giorno di Merman”.
Negli interstizi dei non detti, l’amore incrollabile di un padre per il suo unico figlio attraversa alcune delle pagine più buie della Storia del nostro Paese.

Mi è piaciuto perché: sì! Leggere zerocalcare è sempre un’esperienza arricchente: con la giusta dose di ironia, profondità, cinismo e cultura pop, l’autore riesce a emozionare ogni volta. In questo caso specifico, ho apprezzato moltissimo anche l’alternarsi di romanesco e dialetto veneto, una vera chicca.

Autopsia dei Balcani

di Rada Ivekovic

Un saggio di psico-politica del ’99 

Il testo analizza e interpreta le modalità (nelle loro implicazioni sociali, psicologiche e culturali) della progressiva distruzione e frantumazione della Jugoslavia. A partire da una testimonianza drammaticamente personale, l’autrice sottolinea come il disgregarsi della comprensione reciproca e la mancanza di autoanalisi di una società non siano tratti specifici solo dei Balcani, ma di un pensiero in cui siamo tutti parte in causa. In una serie di brevi capitoli, l’autrice si interroga su temi bollenti come il problema delle frontiere, l’identità dell’Europa, l’affermarsi dei nazionalismi etnici e patriarcali, il tema dell’origine e dell’appartenenza e, contemporaneamente, dello sradicamento.

Mi è piaciuto perché: anche se si tratta di un libro uscito nel 1999, per cui è importante mettere in prospettiva quanto viene affermato, ho trovato molto interessante non solo osservare la storia della Jugoslavia e della sua disgregazione con la lente degli anni ’90, ma anche confrontare la situazione di allora con quella dei giorni nostri, riflettendo sulle guerre, sui nazionalismi e sui confini da un punto di vista sociologico e psicologico.

Dimmi di te

di Chiara Gamberale

Un romanzo per fare pace con la persona che siamo diventati

Ci sono momenti, nella vita, che somigliano a una palude: andare avanti sembra impossibile, possiamo solo lasciarci affondare. Succede a Chiara, quando si ritrova madre quasi per caso e si trasferisce con la figlia in un quartiere di famiglie normali, fedeli a regole che lei ha sempre rifiutato. Abituata a vivere come un’eterna adolescente e affamata di emozioni, non sopporta quella quiete fittizia e presto non riesce più a lavorare, ad amare, a confidare nel futuro. Ma il casuale incontro con un amico che non vedeva dai tempi del liceo le fa venire un’idea: ricontattare le persone che mitizzava quando adolescente lo era davvero. Per chiedere: e tu? La sopporti, la palude? Sei riuscito a crescere, senza rinunciare a chi sei? Mi spieghi come si fa? Così va a trovare la più desiderata della scuola, il rappresentante d’istituto rivoluzionario, il bravo ragazzo che forse avrebbe potuto salvarla da sé stessa, il tormentato che a sé stessa la condannava… E a ogni incontro la tensione sale, perché passato e presente si mescolano, fino a costringerla a un faccia a faccia con la tremenda verità che si ostinava a evitare.

Mi è piaciuto perché: è un romanzo piacevole, in cui vengono affrontati temi interessanti come la paura di crescere e di uniformarsi, le aspettative e i desideri che cambiano con il passare degli anni, le amicizie più vere e i legami che modificano il nostro modo di vivere. Una lettura scorrevole che sa emozionare. 

La città degli angeli. Racconto da Beslan

di Erika Fatland

Un reportage su una delle stragi più cruente dei primi anni 2000

Il 1° settembre 2004, a Beslan, nell’Ossezia del Nord, davanti alla scuola elementare e media numero 1 sono riuniti gli alunni, impazienti di iniziare il nuovo anno scolastico. Alle nove e un quarto, improvvisamente, riecheggiano degli spari: è l’inizio di un incubo che durerà tre giorni, durante i quali un commando di terroristi tiene in ostaggio più di mille persone, sotto lo sguardo impotente delle autorità e del mondo. Un blitz dei corpi speciali russi segnerà il tragico epilogo, costato la vita a 334 vittime, di cui 186 bambini. A vent’anni di distanza, sono molti gli interrogativi ancora aperti, troppe le ombre residue sulla vera identità di quegli uomini e sui loro obiettivi. Nel tentativo di trovare risposte, Erika Fatland si è recata a Beslan per due lunghi soggiorni, con lo sguardo della giovane antropologa che poi sarebbe diventata una tra le più grandi narratrici europee dei luoghi di frontiera. Scandagliando gli atti giudiziari e i rapporti delle commissioni d’inchiesta, ma soprattutto incontrando chi ha vissuto il dramma sulla propria pelle, in questo toccante racconto ci consegna le testimonianze dei superstiti, di chi ha perso l’unico figlio e di chi è stato costretto a scegliere quale tra due bambini trarre in salvo, ma anche di blogger e giornalisti che hanno rischiato la vita per scoprire la verità, nonostante le minacce ricevute. Ricostruendo sullo sfondo la storia del Caucaso, getta nuova luce sull’operato senza scrupoli di Vladimir Putin e fornisce un punto di vista unico su questa regione tormentata: che cosa la rende così ingovernabile? Dove nascono i conflitti e perché rimane una polveriera?

Mi è piaciuto perché: al di là del racconto dettagliato dell’attentato terroristico, l’autrice si concentra sulle testimonianze e sulle condizioni di vita dei sopravvissuti, sulle implicazioni politiche e sulla diversa reazione di uomini e donne, incastrati nelle immutabili tradizioni culturali e sociali del Caucaso. Come accade negli altri due libri che ho letto e amato, Erika Fatland sa parlare di storia, antropologia e sociologia senza mai tralasciare il lato umano e dando voce alla propria esperienza personale in prima linea.

Le sorelle Blue

di Coco Mellors

Quattro sorelle, il dolore, la dipendenza

Avery è una avvocata che vive a Londra e dietro una vita apparentemente perfetta nasconde un segreto. Bonnie era una pugile ma dopo una sconfitta brutale ha dovuto smettere e forse deve lasciare Los Angeles. Lucky, la più giovane, fa la modella a Parigi. Poi c’era Nicky, la cui morte improvvisa ha devastato le sorelle. Adesso, riunite nell’appartamento che le ha viste crescere, le tre sorelle si ritrovano ad affrontare un evento che rischia di dividerle. E che, invece, finirà per unirle ancora di più.

Mi è piaciuto perché: è molto emozionante, realistico e intenso. L’autrice racconta la storia attraverso la voce delle sorelle rimaste in vita, riuscendo ad affrontare con grande empatia temi come la perdita, il dolore, la dipendenza, il desiderio di maternità, la genitorialità e la sorellanza. Le quattro sorelle sono donne realizzate secondo gli standard della società contemporanea, ma tutte si scontrano con difficoltà legate alla sfera emotiva o psichica, che sfocia in un modo o nell’altro nella dipendenza (alcol, droga, relazioni tossiche, sesso, autolesionismo).

La fabbricante di stelle

di Mélissa da Costa

Una bugia che cambia la vita

Arthur ha cinque anni quando sua madre Clarisse gli rivela un gran segreto: tra non molto dovrà partire per un lungo viaggio con destinazione Urano. E lì, racconta Clarisse, sul pianeta ghiacciato dalle ventisette lune, popolato da lumache con il guscio azzurro che mangiano niveo prezzemolo polare avrà il compito di disegnare le stelle che notte dopo notte illuminano l’universo. Molti anni dopo Arthur, ormai adulto, aspetta che la sua compagna dia alla luce la loro prima figlia, e si trova a ripensare alla madre e a quella favola. Lui ovviamente sa che l’universo magico così ben descritto da Clarisse è stato l’espediente che la donna ha voluto usare per spiegare al figlio un imminente distacco, definitivo e tragico. E solo in quel momento Arthur comprenderà davvero il senso della bugia di sua madre.

Mi è piaciuto perché: ho trovato commovente questo nuovo libro di Mélissa da Costa, una storia semplice, forse, ma che sa toccare le corde giuste ed emozionare. Il personaggio della madre “illuminata”, così lucida e lungimirante pur nella malattia, a tratti risulta un po’ forzato ma se la si legge come una favola contemporanea è un romanzo ben fatto.

Abbecedario delle sciocchezze da non scriversi

di Alessandro Zaltron

Un piccolo (e ironico) manuale metalinguistico

Un repertorio ironico e puntuale di parole, espressioni, interiezioni e modi di dire che si incontrano di frequente nella lingua italiana di oggi, e dei quali si spiega in modo semplice e argomentato l’insensatezza. La lingua corrente è per sua natura esposta a sempre nuovi fenomeni di approssimazione e di errore, che i parlanti assumono e fanno propri con passività, adeguandosi senza riflettere a ciò che è imposto non dalla buona norma, ma semplicemente da un uso sbagliato. Le definizioni dell’autore aiutano a risvegliare quell’atteggiamento critico che sarebbe doveroso mantenere sempre attivo verso il linguaggio, nella consapevolezza che “chi è impreciso nel poco lo sarà nel molto”.

Mi è piaciuto perché: fa riflettere (in maniera molto ironica) su termini, strutture, frasi fatte che usiamo spesso senza cognizione di causa e che ci portano a storpiare la nostra lingua e a fare delle gran belle figuracce. Chi sa come usare correttamente il “piuttosto che” è statisticamente più propenso ad apprezzare questo libro!

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